C’era un uomo, in paese, che a volte aveva un comportamento strano: in certe stagioni era perfettamente normale, lavorava non so dove, la sera giocava a scopone al bar, e beveva come tutti gli altri. La domenica andava perfino alla partita. Era Vittorio.la mazzaccola
Ma in primavera, aprile e maggio, e qualche volta anche d’autunno a settembre e ottobre, diventava strano.
Verso sera, lo si vedeva con una vanghetta e un secchiello, in giro per il paese, di solito vicino ai pollai. Raspava per terra, rivoltando le zolle stando chino a raccattar qualcosa. Poi si rinchiudeva in casa e non si vedeva al bar; a me incuriosiva parecchio, e cos? lo chiesi in giro.
Mi dissero che andava a mazzaccola, e che era un grande esperto, invidiato da tutti. Lui sapeva scegliere i bachi adatti, dei terreni migliori, sapeva preparare la mazzaccola meglio di tutti; a lui le anguille non uscivano mai dall’ombrello e non sbagliava mai un quarto di luna. E quando la luna era troppo alta o troppo piena, trovava sempre l’ombra giusta.
In tutti questi discorsi non ci capivo un granch?, ma una volta ebbi un colpo di fortuna.
Eravamo al bar, giocava a tressette con un compagno molto in gamba, di quelli che non vogliono perdere mai ed hanno sempre ragione. Era una partita molto tirata, con discussioni a non finire, urla e pugni sul tavolo; c’era anche molto pubblico, come accade sempre quando gli animi si scaldano un po’.
Ad un certo punto mi capit? una di quelle situazioni da cui si esce solo vivi o morti, dove si deve prendere una decisione, una sola. Se prendi quella sbagliata, povero te.
Ma presi quella giusta.
Mi sentii battere sulla spalla, da dietro: era Vittorio.
?Bravo? mi disse tra una boccata e l’altra della pipetta di terracotta ?cos? mi sei piaciuto. E sei anche un po’ fortunato?.
La partita era finita, mi prese sottobraccio e uscimmo insieme. Doveva chiedermi qualcosa, non so cosa, e la prese larga. Dovevo, se ben ricordo, scrivergli una lettera, o preparare una domanda.
E cos? da quella sera stringemmo una buona amicizia, tanto che mi offr?, un giorno, di portarmi a mazzaccola. Il giorno dopo venne a casa mia col solito secchiello e la vanghetta. Ci rifugiammo vicino al pollaio, scelse un posto in cui la terra era bella grassa e scura, ma non troppo esposta al sole. Rovesci? una zolla con un colpo di vanga e l’apr? con le mani. Facevano capolino tanti bei vermi bruni, tutti assai grossi, lunghi una decina di centimentri, e li gettava nel secchio. Scartava quelli neri, quelli duri, quegli con gli anelli pi? fitti. Poi continuava con altre zolle, sino ache non ne ebbe tanti… a me facevano un po’ schifo, ma del resto ero avvezzo alla pesca e mi ci abituai presto. Lui era soddisfatto, perch? quel pollaio non era stato ancora rovistato e la ricerca era stata rapida e fruttuosa.
Mi disse ?ora cerca qualche stecco di saggina della scopa, del refe e qualche bullone?.
Prese il refe, una gugliata di un paio di metri, lo leg? in cima ad un pezzetto di saggina come se fossero ago e filo per cucire. Poi, con fare esperto, prese un verme nel palmo della mano sinistra, tenendolo fermo e disteso; colla saggina lo infil? dal fondo e lo percorse tutto fino alla testa, per tutta la sua lunghezza. Poi con un altro verme di seguito, e cos? via sino a che tutto il refe non fu completamente coperto di vermi infilati per lungo. Circa due metri di una bella collana viscida e brulicante. La arrotol? sulla mano sinistra, a spire larghe ed uguali sino a formare un gomitolo ad anelli. Li ferm? con un po’ di refe e vi leg? insieme il dado di un bullone.
Confezion? un altro gomitolo uguale, facendolo fare quasi tutto a me.
Frattanto il sole era calato; prendemmo due vecchi ombrelli e le fedeli biciclette. E via in padule.
Faceva buio, quando ferm? la barca in un fossetto, vicino al ciglio. ?Vedrai, ora spunta la luna, ma qua siamo riparati da quella pianta. Non ci deve battere il chiarore addosso.?.
Prese due pezzetti di canna, circa un metro l’uno, vi leg? uno spago con in fondo quello strano gomitolo che era la mazzaccola.
Mi spieg? che le anguille, ad una certa ora, venivano attratte dai vermi e cercavano di abboccare. Dovevamo essere tanto abili da captare la leggera vibrazione che trasmettevano alla canna, poi tirare con un colpo secco in modo che il refe della mazzaccola gli rimanesse tra i denti. Era una frazione di secondo, poi l’anguilla si liberava. Ma in quella frazione, doveva essere tirata fuori dall’acqua e fatta cadere nell’ombrello aperto e rovesciato in barca. Ma attenzione, se il colpo era troppo forte, l’anguilla sarebbe passata sopra l’ombrello…
a raccontarlo sembra facile, ma con un buio pesto, nel precario equilibrio del barchino… e poi di notte si perde anche i?l senso dell’orientamento, a volte non ci si raccapezza troppo colle misure.
La lezione comunque dur? poco. Apr? il suo ombrello, lo rovesci? rivolto verso l’alto; mi fece piazzare poi il mio. Spense la pipa e s’immerse in un silenzio profondo.
D’un tratto fece un movimento brusco, ma leggerissimo: un’anguilla mi pass? vicino al viso e atterr? nell’ombrello.
?Hai visto??
?Qualcosa!?
?E’ di quelle belle!?
?Buon per te!?
Tenevo la mazzaccola nell’acqua, a volte sentivo una leggera grattatina sul manico, ma quando mi rinvenivo, era sparito tutto. Tentavo di tirar su, ma non ci rimaneva mai attaccato nulla.
Vittorio invece imperterrito continuava ad imbarcare anguille, silenzioso. Non voleva che si parlasse, era una cosa seria.
La prima volta che riuscii ad agganciarne una, le detti uno strattone tale che la sentii atterrare sul ciglio, tra le cannelle di l? dalla barca.
Mi disse ?meno male, cos? non hai nemmeno bagnato l’ombrello?.
Poi ne presi una, e dalla gioia, a forza di misurarla, me la feci scappare… in acqua.
Allora s?, veniva gi? tutto il cielo, per intero. Perch?, mi disse poi, non si poteva parlare. Ma bestemmiare, s?.
D’un tratto mise la canna in barca, prese il remino, stacc? la barca dal ciglio: ?Bisogna cambiar posto. Lo vedi, s’? levato il vento di monte, l’acqua ? increspata e non va bene?.
Vagammo per il padule, cambiando due o tre posti, ma nessuno gli andava bene. Provava a fare due o tre assaggi, ma quando non sentiva nulla, quando sentiva ma non riusciva a tirar su le anguille. Un posto era troppo al chiaro, uno sulla corrente, uno con l’acqua troppo fonda. E difatti di anguille non se ne prese pi?. Solo una volta ne sentimmo diverse, ma non si riusc? mai a cacciarne una nell’ombrello.
D’un tratto bisbigli?: ?Zitto e fermo!?.
Un’ombra si stagliava in fondo al fossetto, sul chiarore della luna.
Silenziosa, una barca si spostava lentamente. Non si sentiva n? il frusciare delle cannelle, n? lo sgocciolio del remo.
Pomello!
Allora capii che eravamo sconfinati in riserva; quello era la guardia in perlustrazione.
Ma per fortuna non ci sent? e tir? di lungo. Scampato pericolo, meglio non raccontarlo troppo in giro, perch? lui ? capace di venirti a beccare anche al bar.
Ritornammo tardi verso casa, col secchio pieno di anguille brulicanti. Vittorio a casa prese la vanga, fece una piccola buca per terra, dietro l’orto, vi seppell? i resti delle due mazzaccole.
Voleva nascondere i corpi del reato?
Forse era solo geloso delle sue creature: come le faceva lui..!

Tratto da ?I racconti del padule?, di Roberto Cabib