dipinto annigoniNella frescura all’alba, un barchino scivolava nel collettore, sospinto da piccoli movimenti rapidi del remo lungo. Ivano stava in piedi, proteso in avanti, quasi volesse cercare qualcosa da lontano, in padule. Si ferm?, si accucci? sul bordo e afferr? una canna lucida che spuntava dall’acqua. Tir? su il primo bertibello, che la sera prima aveva appostato. Guard? con soddisfazione il luccio che si dibatteva prigioniero degli imbuti di rete, lo mise nel presacchio; imprec? perch? il bertibello aveva uno strappo. Armato di santa pazienza, prese il filo, ripar? la rete, controll? gli archi di giunco; prese due canne nuove da un fascetto che aveva sul fondo della barca e rimise tutto a posto: anche i bertibelli hanno una loro legge ben precisa, con l’imboccatura disposta in un determinato modo, contro corrente o comunque contro il cammino che si pensa facciano i pesci…
Ivano era un professore. Riprese ad avanzare nel collettore, ogni tanti metri tirava su i suoi ordigni, li vuotava, e via avanti di nuovo. Quando il sole cominciava a scaldare troppo, aveva qualche chilo di lucci. La giornata non era andata male, il cotto era rimediato. Si sedette in barca e prese il remo corto; si incammin? sul collettore verso monte. Allo sbocco sul chiaro si sent? chiamare. Rino era ancora alla bilancia e gli sembr? un po’ strano.
?Ti facevo la posta? disse.
?Che c’???
?Monta su, ti devo parlare.?
Ivano pass? dal dietro, mise la barca nel passetto e la leg? con cura: in un attimo fu vicino all’argano della bilancia, sul palco.
?Ti ascolto!?
Rino arrotol? una sigaretta colla foglia di granoturco, l’accese contro vento; poi si mise a parlare. La prendeva larga: diceva che la bilancia non rendeva, di quella stagione, mentre il padule era pieno di tinche da un chilo in su. Era tempo perso passare le notti senza cavar niente…
?E allora??
?Allora, che ne diresti di una bella nottata al focone??
Lungo silenzio, ma la cosa era allettante. Se tira il vento giusto, se imbrocchi la luna, in una nottata si riempie una barca…
?Ma la guardia??
Confabularono un po’, si animarono, risero, si batterono pacche. Poi Ivano riprese la barca.
?A stasera!?
Dopo cena si ritrovarono al bar, si salutarono come se niente fosse, come se non si vedessero da tempo. Ciascuno prese il suo bicchiere e si misero a veder giocare a scopone. D’un tratto Ivano ammicc?: era entrato il Gobbo, la guardia di quel pezzo di padule, che interessava a loro. Sembrava cercar qualcuno, perfor? cogli occhi stretti il fumo del locale: poi, contento, si sedette sullo sgabello dell’angolo. I controlli li faceva da terra, lui..!
?O Gobbo, stasera mi sento in forma? dice Rino ?chi gioca con me ha la vittoria in tasca… la fai una scoponata??
?Lo sai che non gioco?
?Ma non lo vedi che c’? Ivano disoccupato? O Ivano, ma tu il compagno ce l’hai??
Ivano si guard? intorno, trov? il compagno. Il Gobbo fece un po’ di resistenza, poi si decise. In fin dei conti chi doveva acchiappare, i pescatori erano tutti l? intorno. E poi in padule, con tutte quelle zanzare scatenate… Fu presto fatto; c’era, guarda caso, un tavolino libero, le carte pronte. La prima mandata di vino… paga chi perde. Rino e il Gobbo vinsero subito la prima mano: sembrava che Rino leggesse le carte degli avversari, sapeva sempre tutto, prevedeva ogni loro mossa anche senza contare il quarantotto. Il Gobbo gongolava, non aveva mai trovato un compagno cos?. Si divertiva. Seconda mandata di vino, tanto paga chi perde… Seconda mano vinta. E cos? via, una partita dopo l’altra; il Gobbo ci prese gusto, a farsi pagare da bere…
?Questo alla salute dei pivelli, questo alla salute di…?
Alzava il bicchiere e gi?. Gli altri stavano al gioco, facevano finta di bere, i gesti erano solenni. A met? serata Rino e Ivano si strizzarono l’occhio. La partita era finita, la guardia aveva certi occhietti… Lo rimisero seduto sullo sgabello dell’angolo, cos? si poteva appoggiare da due parti. Poi di soppiatto, uno per volta, uno dal davanti e l’altro dall’uscita secondaria, via a gambe!

La serata era afosa, il padule immobile e nero. Presero un fossino molto stretto, buio pesto. Ivano s’inginocchi? sul fondo della barca, sulla poppa. Accese la lampada a carburo, che sibil? con la sua luce bianca abbagliante. Era un vecchio lampione da barroccio, e funzionava ancora bene; ogni tanto doveva essere smontato e ripulito: il beccuccio s’intasava spesso. Ivano con la mano sinistra teneva la luce puntata sull’acqua, colla destra brandiva la fiocina. Rino mandava avanti la barca lentamente, colla poppa in avanti. La sagoma nera di un luccio si stagli? sul fondale. Immobile, incantato dal bagliore; la fiocina non gli dette scampo. Ivano lo tir? in barca guizzante alla disperata. Rino lo aiut? a liberare l’ordigno. Poi tocc? ad anguille, tinche, altri lucci. Ogni tanto un po’ di sosta; spengevano il ?focone?, restavano acquattati immobili; a volte cambiavano rapidamente zona, per non essere seguiti. E’ l’inconveniente di questa pesca… si vede troppo da lontano! In certe stagioni, se si va sul colle di notte, si notano in padule tante luci bianche… non son certo coppiette che si appartano! I due amici, quella sera rincasarono tardi. Fecero un largo giro, con ogni precauzione, prima di rientrare in paese. Non si sa mai, il pesce fiocinato si riconosce sempre! La mattina, Rino, mentre si lavava la faccia nell’acquaio di cucina, vide la moglie che gli versava il caff?.
?O Rino, ma iersera dev’eri??
?Al bar, perch???
?No, perch? sul tardi ? venuto il Gobbo. Dice che aveva urgente bisogno di te..!?

Tratto da ?I racconti del padule? di Roberto Cabib, 1990.